Quando nacque, il Fortore era una fiumara. una fiumara vera e spumeggiante. A volte scoppiava, pregna di acqua tumultuosa.
  Il disordine delle piene impazzite provocò nei secoli inondazioni e sciagure. Fra quelle onde d'angoscia, per chi vi incappò, tutto fu naufragio. Il corso d'acqua arrotolato da qualche tempo nelle strette di Occhito e di Santa Maria viene oggi restituito, stantio e placido, all'alveo superstite che lo annoda alla linea di costa serrana, fra i canti e i ricanti della risacca adriatica.
  Prima che l'uomo vi applicasse il proprio ingegno costruttivo, le acque fluviali erano vulnerabili solo a guado. Le piene proibivano spesso i collegamenti tra le opposte sponde condizionando e penalizzando i traffici commerciali e le comunicazioni viarie affollate di avventurieri, commercianti, guerrieri e pellegrini.
  La necessità di una struttura non estemporanea che unisse le sponde fluviali in maniera continua e sicura fu avvertita prepotentemente già in epoche lontane.

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Marco Ulpio Traiano, illuminato imperatore del mondo romano (53 d.C.-117 d.C ) "innalzò sopra il Frentone, nella via da lui restaurata" - la Frentana-Traiana - il primo ponte di pietra tramandatoci dalle cronache.
  0ggi quell'opera dell'ingegneria idraulica capitolina è testimoniata da una pila in brandelli che affoga nella vegelazione scintillante e carnosa della riva destra della fiumara a un tiro dalla "taverna" di Civitate: "luogo oltre ogni dire malsicuro". impregnato di imboscate e di atrocità commesse specialmente nel periodo del brigantaggio pre e post-unitario.
  Abbantlonata a se stessa, la costruzione "SPQR" si sfaldò nei secoli bui dell'alto medioevo: la botta finale, secondo una tradizione ancora oggi viva, le fu inferta dai feroci Ungari che nel 943 d.C. misero a soqquadro la città di Civitate appena risorta dalle macerie di un terremoto fortemente disastroso (801 d C.).
  Di ponti medievali valicanti il Fortore non si conoscono memorie.
  Il vescovo di Larino, Giovanni Andrea Tria. nei suoi scritti storici datati 1744, testimonia che in quei tempi la fiumara si oltrepassava con una struttura "di legna e frasche" che spaventava il viandante "necessitato a passare per esso, sia per la mal tessitura, sia per l'altezza da cui si rimira l'acqua.. che vi passa sotto".
  Il ponte, "fatto per cura del Principe di San Paolo" e raccontato da quel monsignore, durò fino all'anno 1744.
  Fra il 1794 e il 1795, con la firma dell'ingegner Pollio, ne venne eretto un altro di sette arcate, lungo passi 96, largo palmi 5 e alto dal pelo dell'acqua 80 palmi. Il fermento delle acque, i risucchi e lo sciabordare violento dei flutti contro i piloni della costruzione, lo sfibrarono.
  Il 13 Aprile 1840 quell'opera nata nel crepuscolo del XVIII secolo e inaugurata ncl 1797 del regnante Ferdinando I, andò perduta. Ai "locati" ed alla "corona" il "lastricato di sassi maestrevolmente incastrati", era costato ben 200.000 ducati. Per il suo salvataggio erano stati inutili gli S.O.S. lanciati alle pubbliche istituzioni dal decurionato serrano. A crollo avvenuto il Sindaco Michelangelo d'Uva informò l'Intendente di Capitanata telegrafandogli: "finalmente il ponte è caduto". Il linguaggio fiero costò a chi ebbe il coraggio di osare la destituzione dalla carica, in quei momenti ancorata agli umori regi e non al robusto suffragio popolare.
  Sandali traghettanti e un pontile di legno assicuramno, dopo il crollo, le comunicazioni fra le opposte sponde. Riconosciuta dalle autorità la necessità urgente di un altro ponte di fabbrica se ne alzarono i pilastri che "non eretti appena, minacciavano di crollare"

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La Serracapriola ottocentesca venne rappresentata nel Consiglio Provinciale di Capitanata dai Maresca. Quegli esponenti, nell'esercizio delle loro funzioni, si sforzarono di privilegiare le necessità del paese. Il Marchese Antonino, uno di quel casato, riuscì a convogliare Ferdinando II e l'intero codazzo reale al Ponte di Civitate. La Maestà borbonica il 6 maggio 1844 fece un bagno rigeneratore fra la gente serrana - incanutita e non - che prospettò al potente potere i problemi che attanagliavano la collettività. E la "problematica ponte" fu principe nelle richieste avanzate. Il sovrano, veduta "ocularmente" l'insufficicnza della ricostruzione intrapresa, comandò che i pilastri fossero tirati su alla svelta e sollevati ulteriormente di altri 4 palmi e "vi si fosse steso un tavolato pel passaggio degli armenti, riconoscendo il bisogno preciso di un ponte di ferro" Il tutto fu immediatamente eseguito, ma uno dei pilastri "venuto meno abbandonossi di fronte alla corrente e il ponte restò quasi spspeso in aria". E faceva paura a tutti coloro che l'osservavano

L'invernata 1846-'47, particolarmente piovosa, agitò più volte la turbolenza del fiume. In quell'anno quindici padri di famiglia furono agguantati dai gorghi e con loro perirono "moltissimi animali armentizi ed altri di minor conto".
  Il 3 maggio 1847 lamentele a più voci ispirarono il Maresca, presidente del Consiglio di Capitanata, a sollecitare presso gli organi competenti la costruzione del ponte sul Fortore. La voce svanì nel nulla. Il Serracapriola che ricopriva lo stesso incarico provinciale, il 12 maggio 1852 ci riprovò e supplicò la "inesauribile munificenza sovrana" ...affinché il ponte di Civitate "venghi (!) costruito di ferro, non piacendo l'idea del ponte di legno e che intanto ciò non si otterrà, si attui un passaggio provvisorio di legname atto al transito anche delle vetture a due ruote". Per il ponte e per quel ponte, la Provincia assegnò 80.000 ducati. Ma "gli imprenditori si mangiarono il danaro e lasciarono l'opera" abbandonata a se stessa, senza che il Governo borbonico ci pensasse più.
 "Il ponte sul Fortore", scrisse Aurelio Saffi che vi transitò con Nino Bixio per raggiungere Serracapriola "è un tal rompicollo da farsi il segno della croce passandovi sopra, specialmente avendo dietro cavalli. Sono tavole mal commesse e senza ripari laterali, mal ferme sopra piloni rovinati e cadenti, ad un'altezza di cento palmi sul letto della fiumana. Passato dall'altra parte, mi sono voltato indietro, come Dante descrive il voltarsi indietro, a guardare un grande pericolo. Tale era in tutto la barbarie del Governo borbonico".
 Il decurionato serrano era cosciente dei benefici collegati ad un'efficiente viabilità in tal senso perorò la causa presso Giuseppe de Leonardis, serrano in Foggia alla "immediazione dell'on. Prefetto Gaetano del Giudice". Quell'autorevole intervento avrebbe favorito la tanto agognata utilità che una strana sorte lesinava a Serracapriola. E nel 1861, mentre la Capitanata brulicava di briganti post-unitari, il de Leonardis accompagnò il prefetto del Giudice al passo di Civitate. L'intervento prefettizio presso la Deputazione provinciale delle OO. PP. fruttò la progettazione dell'opera affidata all'ingegner Luigi Guallini.
 Al progetto Guallini la ditta Tommaso Riccardo Guppy e C. propose alcune varianti tecniche che abbassavano anche i costi di realizzazione. Esse vennero approvate dalla Deputazione provinciale il 10/06/1862.
 L'opera venne affidata alla citata ditta Guppy con contratto del 31/7/1862.
 Dopo molte traversie, legate al particolare momento storico ed alla geografia dei luoghi popolati da briganti pericolosi ed agguerriti, il ponte venne ultimato nel Novembre 1864. Tutto di ferro, lungo metri 70 e largo metri 5,30 esso venne a costare complessivamente lire 935.251,35 e solo nel 1908 ebbe necessità di un lifting che rinverdì le sue strutture.
 Il ponte entrò nella strategia distruttiva dei Tedeschi in ritirata; il 26 settembre 1943 guastatori della 2A Compagnia e del "Flack" lo minarono. Gli ordigni brillarono fragorosi e devastanti nel buio del 30 settembre 1943. Di conseguenza, le forze di testa della 78a Divisione britannica, in avanzamento verso Serracapriola, furono obbligate a guadare il fiume Fortore nei pressi di "Colle Pallino" (1° Ottobre 1943). Un ponte di cemento armato a due arcate valica oggi, gagliardo e resistente, la modesta idrografia fortorina condizionata e vitalizzata unicamente da Giove Pluvio e dagli affuenti che sfociano a valle della diga di Occhito.

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lntorno alla foce portuosa della fiumara, in anni lontani dalla memoria degli uomini, si era formato un emporio alimentato dalle necessità commerciali della vicina città di TIATI (poi Teanum Apulum). Lo testimoniano le tombe preromane localizzate verso Torre Fortore e le monete di bronzo, con la scritta Tiati, rinvenute lungo il basso corso del fiume.
 Nel Medioevo il Fortore è stato un punto focale della nostra storia locale e per anni fu frontiera: sulle sue opposte rive vivevano caratteri, aspirazioni, costumi e linguaggi diversi.