Un lembo di medio evo pulsa nel cuore della campagna serrana: Sant'Agata, per secoli topos di intensa sacralità. La sua struttura poderosa, cinta "di fortissime mura", oggi langue umiliata dal tempo e dall'incuria. E' spoglia di arte, di gente, di geometrie, di religiosità. I relitti murari, aperti ai venti, ai passanti, ai coltivi ordinati ed ubertosi, sono battuti da un silenzjo rigoroso, tagliato dalla sferragliare della ferrovia adriatica, che in quei paraggi scrive il suo tracciato. E dallo squittìo di quei gabbiani erranti che, "facendo in aere di sé lunga riga", osano l'entroterra per la vita quotidiana.
 Da breve poggi Sant' A.gata, ricco di dolci acque sorgive, si domina "la marina" serrana. Una "compilation" di blu cobalto, di dune generatesi dal tormento dei venti e di fiocchi gibbosi di macchia mediterranea. A quella "marina" si era ancorato un sussulto della nuova economia di Serracapriola. Con verdetto recente, senza appello, la potenzialità della speranza è stata ingabbiata nel Parco del Gargano. L'imperioso anelito di sviluppo del serrano popolo è stato di netto segato.

***

Di Sant' Agata non si trova traccia nella sentenza del Cardinal Lombardo, arcivescovo di Benevento (1175), e nelle bolle Pontifici Lucio III (1181) ed Innocenzo IV (1254) che possono considerarsi vere e proprje fotografie territoriali della Diocesi di Larino. Silenzio assoluto anche nella parte sopravvissuta del codice federiciano "Quaternus Excadenciarium Capitanatae" del 1248-1249.
 La prima finestra storica alla quale Sant'Agata si affaccia è datata 1328. Per la "decima" di quell'anno "Celerario Casenove, pro grangiis Romitelli et Sanctegatensis" pagava tarì quattro e mezzo. Questa datazione corrobora alcune dichiarazioni. rese intorno al 1277, che collocherebbero la nascita della grancia "post mortem imperatoris" Federico II di Svevia (1250) e la sua organizzazione -"cum magno tenimento terrarum"- all'operato dei Cistercensi di Casanova. Costoro, nel giugno 1237, sostituirono nell'abbazia di Tremiti la comunità benedettina caduta in disgrazia e mandata a respirare altri ossigeni. Superata l'iniziale stasi operativa, protrattasi fino al 1255, i Cistercensi di Tremiti concretizzarono attivamente un piano di costruzioni e ricostruzioni edilizie e di ricompattamento del patrimonio fondiario di terraferma che i Benedettini, loro predecessori, avevano acquisito negli anni con acquisti e donazioni eterogenee. Tra il 1334 ed il 1343, anche i Cistercensi abbandonarono il monastero di Tremiti, a ciò indotti - probabilmente - da una pirateria marina iperattiva e pericolosa.
 Il patrimonio cadde in commenda cardinalizia.

***

Al termine di una "vacatio" pluridecennale, storicamente buia, il Papa Gregorio XII, per farvi rifiorire la vita religiosa, con bolla del 7 settembre 1412, inviò a Tremiti i Canonici Regolari di Sant'Agostino.
 Nell'isola adriatica i monaci approdarono guidati da padre Leone Gherardini da Carate (priore negli anni 1412 -1413). La loro prima vita isolana fu costellata di difficoltà e privazioni anche economiche poiché i profitti fondiari erano goduti, fra gli altri, dal commendatario, il cardinale Giovanni Dominici da San Sisto. Dopo la morte di costui (1419), i canonlci si dettero a ricostruire il patrimonio. L'operazione fu preceduta da un monitoraggi dei diritti già vantati dai predecessori Benedettini e Cistercensi. In questa ottica, nel giugno 1420 i canonici ottennero una sentenza, pronunciata in Lucera, che fra le altre cose riconosceva loro il pieno possesso di Sant'Agata. Per Tremiti quel possedimento di terraferma era importantissimo. E perchè affacciato sul mare e in comunicazione visiva con le isole. E perché faceva da cerniera con gli altri dell'abbazia. E perchè lambito dalle acque del fiume Fortore, storicamente accessibile al piccolo cabotaggio e coronato da un "non incomodo porto", sul quale sin dall'anno 1045 essi godevano il diritto di naufragio loro concesso da Tasselgardo, conte di Larino. Durante l'omogeneizzazione del territorio, i monaci cozzarono spesso con gli interessi delle contermini diocesi del Gargano e del Molise; in modo particolare - nel 1453 - una diatriba violenta li contrappose al Vescovo di Civitate che rivendicava pretese proprio su Sant'Agata. E da Sant'Agata venivano spedite "le cose necessarie" portate quotidianamente "sull' onde adriatiche nell'isola di Tremiti". E' per questa necessità ed anche per favorire il flusso di viandanti, di pellegrini diretti alle isole, di mercanti e faccendieri che nel 1575 si progettò l'allargamento della Santa Agata - Porto del Fortore.

 

Fino alla fine, circa, del XV secolo, i Canonici lasciarono Sant'Agata abbandonata al bosco. Solo successivamente, probabilmente dopo l'acquisizione dei continui beni fondiari dell'abbazia di Ripalta, i monaci si volsero alla colonizzazione diretta del possedimento, così da ricavarne entrate maggiori di quelle che potevano loro affluire da semplici censi enfiteutici (canone annuo ducati 400 -rogito del 6 aprile 1563- Roma, Lupi notaio apostolico). Le colture agricole privilegiavano frumento e vigneto con una produzione eccedente i reali bisogni del monastero. Da Sant'Agata i raccolti venivano concentrati nelle Tremiti e poi, con tutta probabilità, commercializzati alle navi in transito o avviati verso altri porti. In Sant'Agata altresì era attivo un allevamento zootecnico che, dopo la cerealicoltura, era il secondo cespite delle entrate della abbazia. Prevalente era l'allevamento ovino: seguiva quello bovino (bufali), poi dei maiali, delle giumente, la cui razza era "stimata per una delle più famose di quelle parti" e, infine, quello delle api che davano miele. I monaci dal canto loro, sfruttando la "Glycyrrhiza Glabra" che abbondava nel "Parco dei Quaranta", distillavano un "prezioso liquore... per prelati e Signori grandi e, con molta carità, anche agli amici.
 A Sant'Agata, oltre la chiesa, sorgevano una grande masseria e molte case, (soprani e sottani), per massari e lavoranti. Per l'irrigazione delle colture si sfruttava una fonte abbondante d'acque sorgive. Questa tenuta, che i Canonici Regolari di Sant'Agostino avevano creato dal nulla, forniva alla comunità monastica la parte della sua rendita annua. Nello stesso tempo era il più grande ed il più attivo sforzo del bilancio economico.
 Accanto a Sant'Agata ed anch'essa lambita dall'Adriatlco, vi era la tenuta di Ramitelli. Quei terreni, al pari di Sant'Agata, esprimevano cereali, pascoli e boschi. Sant'Agata era gestita secondo il tipo dell'azienda latifondistica, con un responsabile (oeconomus), un gruppo dirigenziale (gubernatores, qui discunt massarios), alcune categorie di lavoratori (pastori, custodi di bestie, conduttori di porci) e infine, una massa bracciantile per i lavori del quotidiano. Ad essi si aggiungevano fomai, fabbri, cuoiai e calzolai che abitavano all'interno dell'edificio centrale. L'assieme rendeva l'intero complesso autonomo. I massari ed i custodi delle bestie abitavano in tante piccole abitazioni disseminate nella tenuta. Il sistema di coltivazione adottato in Sant'Agata era per le Tremiti senz'altro il migliore perchè consentiva profitti notevoli ed economie di spese. Inoltre, basato com'era su una tenuta che si estendeva miglia nove per tre, rendeva l'intero complesso poco vulnerabile dalle carestie e dall'altalena dei prezzi del mercato.

***

Il patrimonio fondiario di Tremiti - già ingente - continuava negli anni ad ampliarsi. Nel 1532, Gaspare DeMonte, Vescovo di Civitate, cedette in censo perpetuo al cenobio isolano l'esteso territorio di San Leucio che giungeva fin quasi alla porte di Serracaprtola. La cessione fu approvata nel dicembre dai Vescovi di Dragonara e di Larino e dal Vicerè di Napoli. Cinque anni dopo però, il Vescovo, per ragioni non note, concesse lo stesso territorio a Girolamo Santuccio, abruzzese dell' Aquila. Con costui i canonici dovettero patteggiare e garantirgli il godimento di San Leucio per quarant'anni. Nel 1552, forse per la morte del Santuccio, i canonici tornarono in possesso di quel territorio. Ma soltanto di un terzo.
 In pieno secolo XVI, il monastero isolano appariva ricco, influente, potente e strategicamente appetibile.

***

Spinta in Adriatico dai venti di guerra, nell' Agosto 1567 la flotta turca approdò alla foce del fortore.