Sarebbe stata una grave mancanza, se non ci fossero state, a Serracapriola, paese agricolo per eccellenza, manifestazioni estive riguardanti l’agricoltura. Per una di queste ci hanno pensato i fratelli Alessandro e Massimo De Iudicibus, chiamati “I Pévelise” (originari di San Paolo di Civitate), che, in collaborazione con i fratelli Ciro Pio e Alessandro Maccione, hanno proposto la “Festa della Trebbiatura”, di cui sono stati gli ideatori e realizzatori, coinvolgendo tutta la famiglia ed in primis il cugino elettrauto-meccanico Alessandro De Iudicibus, curatore della messa a punto della trebbiatrice Cicoria, star della manifestazione. Sponsor ufficiale dell’evento: l’Agripegaso Group C. da Rivolta del Re 86039 – Termoli - Tel. 0875-710165, concessionaria di trattori e macchine agricole degli stessi fratelli De Iudicibus.
Il raduno degli antichi mezzi di trasporto e di lavoro si è tenuto la mattina del 7 agosto 2009 in piazza castello da dove è partita la carovana, per raggiungere, dopo aver attraversato Chieuti, altro comune coinvolto, il luogo della trebbiatura, lungo la strada per il mare, presso la stazione di servizio di Fabio De Iudicibus, in contrada Viarelle, dove, in precedenza, era stata predisposta l’aia e la bica dei covoni per la trebbiatura.
Hanno sfilato: un carretto trainato da buoi (trèine) dell’azienda agricola di Casciano Francesco di Santa Croce di Magliano; un carro leggero (scèrèbbàlle) e due calessi (chinghe) trainati da cavalli, provenienti da San Martino in Pensilis; due calessini (chenghèrèlle) con due pony di Antonio Murolo; l’asino dei fratelli de Sanctis e due asini dell’azienda “di Vaira” di Montenero di Bisaccia; tre cavallerizzi: Giuseppe Rosito e i fratelli Italo e Mercurio de Sanctis; una trebbiatrice modello 91 CLA del 1960, regina della sfilata, dei fratelli Alessandro e Massimo De Iudicibus, prodotta dalla ditta Cicoria, trainata da un trattore Landini a testa calda modello Major L 44 del 1959, targato FG 2211, dei fratelli Ciro Pio e Alessandro Maccione; ed altri trattori d’epoca: un 70 C Fiat cingolato del 1970 ed un Carraro 35 CV con la falciatrice dei fratelli De Iudicibus; un 50 OM cingolato del 1970 di Fortunato Pescatore, targato FG 5692; due Landini a testa calda L 25 e L 35 di Giuseppe del Ciotto, venuti dal Molise; due Nufield del 1969 messi a disposizione dall’officina Neri di Palata (CB); due 25 Fiat L, di cui uno cingolato, dell’azienda agricola Testa di Campobasso; un 40 Same, targato FG 44960, di Emanuele Corroppoli; un Fiat 312 con il raccoglitore di paglia di Emiliano Mercuri; un OTO bicilindrico e un FAR 30 CV provenienti da Palata (CB).
All’arrivo presso la stazione di servizio i componenti della carovana si sono rifocillati con i prodotti tipici locali della macelleria di Fabrizio Cacchione arrostiti alla brace: torcinelli, salsicce, fegatazze, bistecche, annaffiati da un buon vino locale.
Nelle prime ore del pomeriggio dopo aver sistemato la trebbiatrice Cicoria sull’aia, vicino alla bica, ed avviato il trattore cingolato 70 C Fiat che mediante la puleggia e il cinghione (‘u centóne) di trasmissione metteva in funzione la trebbia, è iniziata la trebbiatura. I covoni, liberati dal legaccio, passavano dalle mani degli organizzatori dell’evento sull’elevatore che li portava all’interno della macchina dove il battitore e il controbattitore o griglia pulivano i semi di grano dagli involucri protettivi. Gli scuotipaglia, posti all’uscita del battitore, con moto sussultorio e ondulatorio, separavano la paglia dai semi. Il grancrivello aveva il compito di eliminare la pula, le parti più minute e leggere della pianta, pagliuzze e spighe vuote. Mentre da una parte usciva il seme da tre bocchette, a cui erano stati assicurati precedentemente tre sacchi di iuta che man mano si riempivano di grano, dalla parte opposta usciva la paglia e da un lungo tubo la pula (‘a chème).
Agli spettatori più anziani che avevano vissuto le tappe della meccanizzazione agricola inevitabilmente arrivava il ricordo del passato: la fatica e la festa del raccolto con i mezzi che si sono succeduti nel tempo. La mietitura a mano, con le falci. Gli animali, muli o cavalli in giro intorno all’aia per pestare le spighe di grano e liberare i semi. ‘A mèrenère, sorta di grande rastrello, trascinata dal cavallo per roccogliere la paglia e i metaiuoli intenti ad accatastarla e a costruire ’i méte.
Poi la meccanizzazione. Il ricordo delle trebbiatrici di Gaetano Moscariello, Antonio Mascolo, Mario Gatta, Guerino de Girolamo e in particolare della trebbiatrice del meccanico-trebbiatore Ernesto Silvestris (1912-2007), esperto del settore, che veniva spesso chiamato dalla neonata cooperativa dell’Ente di Riforma Fondiaria “Frentana” per valutare le macchine agricole. Ernesto possedeva una trebbiatrice Bubba M 90 azionata prima da una locomobile (una macchina a vapore il cui modello “tipo locomotiva” era impiegato nel settore agricolo) e poi da un trattore a petrolio, costruttore Internazional Harvester Co., modello F30 Farmall, anno di costruzione 1932, tre marce, 30 CV di potenza, quattro cilindri.
Si discuteva su alcune marche di trebbiatrici italiane (Abbriata, A.M.A., Bubba, Carra Virgiliana, Cicoria, De Antoni, Delta, Mausal, Rossini, Saima), sui loro organi e sulla loro evoluzione. I due organi principali sempre presenti in ogni tipo di trebbiatrice sono il battitore e la griglia che servono a separare i semi dal resto della pianta. Le prime trebbiatrici della seconda metà del 1800 erano invece costituite da soli quattro organi: battitore e griglia, scuotipaglia, grancrivello con il suo moto di andirivieni e ventilatore. Il grano protetto da due tavole cadeva per terra.
Nel tempo le macchine sono state sempre più perfezionate: il grancrivello simile ad un buratto vibrante con il ventilatore sotto di esso; l’elevatore dei covoni, per portare le spighe nella bocca della trebbiatrice; organi complementari, come il brillatore, il vaglio classificatore e l’aspiratore delle spighe non trebbiate; altri utili accessori, l’imboccatore automatico, il lancia pula pneumatico, il lanciagrano pneumatico per eliminare l’immagazzinamento nei sacchi. Da noi, dove il fieno scarseggiava, la paglia veniva triturata e schiacciata dal trincia-pestapaglia applicato all’uscita degli scuotipaglia. C’erano anche trebbiatrici con il pressapaglia e l’elevatore della paglia.
Oggi le mietitrebbie ed i trattori, muniti di tutti i confort, compresa l’aria condizionata, riducono di molto non solo il tempo di lavorazione e la fatica dell’agricoltore, ma anche la manodopera.
I vecchi mezzi agricoli, a riposo ed entrati nell’antiquariato, vengono restaurati dagli appassionati del settore.
A Serracapriola sono collezionisti di macchine agricole d’epoca, oltre i fratelli De Iudicibus che hanno rievocato mirabilmente la trebbiatura del passato con la loro Cicoria, anche l’agricoltore Antonio Orlando, spettatore della manifestazione, che possiede, fra gli altri mezzi, due trebbie, una Bubba 110 e una Delta U 57 di piccole proporzioni (circa tre metri di lunghezza) ad uso familiare. Egli ha un sogno nel cassetto, forse, a suo dire, già sfumato (difficilmente realizzabile in un paese frammentato): il museo della civiltà contadina.
Questo progetto si sarebbe potuto realizzare solamente con il contributo dell’intera comunità serrana e delle istituzioni locali, poiché gli antichi mezzi agricoli, voluminosi e facilmente deteriorabili, richiedono per la conservazione capannoni capaci, prima per contenerli e poi per poterli restaurare con periodiche manutenzioni. Un lavoro immane, ma fattibile se i mezzi stessi non fossero stati distrutti o abbandonati all’aperto.
Solo il contributo di un popolo unito che ama le proprie radici può realizzare ideali miranti, attraverso il museo, a trasmettere alle future generazioni la storia dei padri.