Le sementi rinvenute nei villaggi neolitici sono il frumento, l'orzo, il lino e le leguminose, i cui semi sono rinvenuti negli scavi archeologici prevalentemente carbonizzati, ma la morfologia fortemente caratterizzata li rende facilmente riconoscibili.
 Ma perché l'uomo decise di coltivare alcune specie e non piuttosto di raccogliere sementi dalle piante che popolavano numerose il terreno? Talvolta l'ibridazione delle piante avviene spontaneamente e da questa traggono origine nuove specie che spesso, pur essendo qualitativamente migliori, non riescono a sopravvivere perché non adeguate all'ambiente; all'uomo il merito allora di imporle con la coltivazione nell'ecosistema, praticando criteri selettivi basati sull'alto tasso di produttività.Ci piace immaginare come i primi abitatori della nostra collina impararono a seminare il grano. Forse alcuni chicchi di grano selvatico mentre venivano puliti dalla pula, spinti lontano dal vento, caddero su un terreno favorevole ad accoglierli. Si immolarono fra le zolle e durante l'inverno germogliarono. In primavera i neo-contadini alla vista del campicello di grano si resero conto che, non solo si poteva raccogliere il grano selvatico, ma si poteva anche seminarlo.
 Dopo il grano si ebbero piantagioni di olivi, viti e alberi da frutta. Successivamente prenderà piede l'orticoltura. Fino al 1900 circa queste colture si equilibravano equamente, per cui uno scarso raccolto di grano veniva sempre compensato. Dopo a discapito delle altre colture di cui Serra aveva il primato cominciò a diffondersi la cerealicoltura che dava il maggior utile col minimo sforzo.
 Il seme si selezionava vagliando il grano con il crivello piccolo (u cruvèlle) e questo compito spettava alla donna, oppure a macchina. Le macchine erano di due tipi.
 Una era costituita da una tramoggia e da un crivello sistemato all'interno di un cassone. Il crivello, mosso da una manovella, oscillava più o meno rapidamente; nel contempo, la stessa manovella, che era collegata per mezzo di una trasmissione ad alcuni ingranaggi, faceva girare una ruota munita di pale di legno, che generavano vento: in tal modo il grano veniva separato dalla pula.
  L'altra macchina aveva un lungo crivello a tamburo, leggermente inclinato, che, azionato sempre da una manovella, puliva il grano e lo suddivideva contemporaneamente in diverse qualità. Alla base, cioè sotto il crivello, venivano disposte 5 o 6 cassette: nella prima cassetta cadeva il grano scelto; nella seconda, quello più sottile; nella terza, quello piccolo e con i chicchi spezzati: nella quarta, la veccia; nelle altre due cassette ricadevano semi di erbacee e pula.
 I proprietari di queste macchine su richiesta lavoravano anche per conto di altri contadini, trasportandole da una casa all'altra.
 Lo svecciatoio, modificato a elettricità, viene ancora oggi usato per produrre seme di terza riproduzione.
 Nel 1900, come ci informa A. de Luca, il podere era diviso in terreni aratori a cereali, maggesi e pascolo per il bestiame da lavoro e da reddito. Sul maggese spesso si seminavano fave o fieni, ma il più delle volte si lasciava il terreno incolto (crudo). La semina della fava grossa e della favetta era molto estesa e spesso si ottenevano buone produzioni, altre volte la raccolta veniva compromessa da malattie come quella prodotta dal "ghèregagghje" che depone le uova nelle fave, che vengono poi svuotate dai bruchi che si sviluppano.
 Altra pianta che copriva il maggese era la veccia, il farchio convertito in ottimo fieno che costituiva il foraggio abituale per i bovini da lavoro dell'azienda. Poco coltivata era la "grampalupina", sulla, che nasceva spontanea sugli argini del Fortore da semi che le acque del fiume portavano dalla provincia di Campobasso, dove tale pianta si coltivava in abbondanza. Da noi attecchirebbe facilmente per i terreni argillosi della nostra collina.
 Al maggese, nudo o coperto, seguiva nella rotazione la semina dei cereali. Parecchie erano le varietà coltivate di frumenti duri e teneri non molto bene selezionati, per cui il contadino spesso era costretto a cambiare seme. L'avena era largamente coltivata, al contrario dell'orzo che veniva seminato solo per produrre foraggio verde in primavera "ferraina" o per essere brucato in marzo-aprile da agnelli e capretti.
 La semina, usando seme preparato al solfato di rame (ncheveciunè) o per aspersione, o meglio per immersione in soluzione all'l %, veniva eseguita quasi sempre a mano, alla volata, meno spesso con seminatrici a spaglio, anche più di rado con quelle a rigo.
 A quei tempi tutti gli uomini appartenevano nel nome, nelle azioni, nei pensieri, nei rapporti umani al mondo remoto di Abramo. In particolar modo i seminatori erano sostanzialmente degli uomini biblici: laboriosi, onesti, saggi, fiduciosi ma soprattutto rassegnati, credenti convinti e coerenti perché nella sequela facevano la volontà di Dio. Con la famiglia che partecipava ai lavori dei campi anche le donne aiutavano i loro uomini a seminare. Le regine della casa, legati i cavalli all'aratro, li conducevano per la cavezza e gli uomini tenevano le stegole dell'aratro. Molte volte, si andava avanti e indietro nel campo. Finita l'aratura, col grano in una sacca (u sumentèture) a tracolla, si seminava. I passi del seminatore erano lenti, misurati da un ritmo sempre uguale, che seguiva rigorosamente il gesto della mano che prendeva il seme e lo lanciava a ventaglio, in modo che i chicchi potessero cadere sul terreno uniformemente.
 I seminati spesso venivano attaccati dalle cavallette e dai topi campagnoli, di cui vivono nel nostro territorio due sottospecie: il saltarelIo a coda lunga e il curcio a coda corta. Venivano catturati, su richiesta, con la zappa e con trappole ad arco (cacchiole) dal sorciaro a 4 o 5 centesimi a topo.
 Dopo la coltura dei foraggi che eliminò il maggese prese piede la concimazione razionale. In tal modo furono velorizzati terreni, come quelli della contrada Montesecco, che fino al 1900 risultavano incolti.
 Nel 1956 i fratelli Saracino e Aurelio Vadacchino hanno iniziato la coltura delle barbabietole da zucchero, diffusasi oggi insieme con quella del girasole e del pomodoro. Comunque ancora oggi il prodotto principe dell'area è il frumento.
 Prima di seminare s'interrano i concimi chimici, che dovrebbero essere usati con parsimonia, poiché il male che provocano è sicuramente più grande dei vantaggi portati. Poi si ripassa e si semina con un seme che viene selezionato in base ai requisiti intrinseci che richiede l'industria molitoria. Intanto il seme, esempio per l'uomo. continua ad immolarsi fra le zolle per produrre il centuplo. In seguito per eliminare le erbacce fra le piantine di grano si usano i disserbanti che contengono la tossica diossina. Una volta con gran fatica "ce zéppeliève".
 Nonostante che i nuovi regolamentei CEE insegnano che bisogna potenziare l'informazione, la formazione e l'assistenza tecnica ravvicinata alle aziende, si continua a privilegiare la quantità, spesso a scapito della qualità. Va da sé che si dovrebbe tendere verso una produzione di grano biologico o di farro per evitare la crisi che attraversa la produzione del frumento.