Come cittadino di Serracapriola, nonché collaboratore-corrispondente del sito serracapriola.net, mi sta a cuore il restauro del centro storico locale e non solo. Prima di affrontare l'argomento in questione (già accennato nel convegno del G.I.S. del 6/dicembre/2006, svoltosi nella sala consiliare del Comune di Serracapriola), ampiamente sviluppato dal sottoscritto nei n. 2-3 del giornale di Serracapriola La Portella del 1996 e riversato poi sul sito su citato, è necessario fare una premessa storica.
Il nostro territorio, ricco di cave di argilla pregiata, rese possibile la produzione di laterizi in loco. I nostri mattonai con le loro fornaci produssero i mattoni e le tegole (sbrigliòzze, mètunacce, piènèlle, pince) con cui fu costruita la maggior parte delle case del centro storico. Questo la dice lunga sul tessuto urbano del paese, fatto soltanto di mattoni con qualche intermezzo trascurabile di ciottoli. I nostri muratori lasciavano le case, appena costruite, senza intonaci esterni. Che bisogno c'era di intonacare muri di circa un metro di spessore? I muri esterni venivano soltanto imbiancati a calce. Ce lo conferma ulteriormente una cartolina illustrata dove si vede la piazza V.Emanuele III nell'anno 1908 con le chiese di S.Maria, di S.Anna e lo stesso castello, vestiti di bianco. La calce di Apricena serviva a dare luce, e a disinfettare l'ambiente. Il bianco-calce che da sempre ha caratterizzato i paesi del mediterraneo. La nostra tradizione: mattoni e bianco-calce.
Il restauro ha il compito di riportare alle origini, nel nostro caso, le antiche abitazioni, sia le più che le meno importanti dal punto di vista architettonico.
Un paese civile si deve dare delle regole, delle norme, da far rispettare, per poter conservare nel migliore dei modi il patrimonio urbanistico che i nostri avi ci hanno consegnato e per potersi espandere con nuove abitazioni secondo un ordine precostituito. Quale turismo si può sviluppare se non c'è questo biglietto da visita di base? Non è utopia. Esistono in Italia paesi con centri storici belli, restaurati con coerenza.
Inerente al tema in questione è il Piano Particolareggiato delle zone di interesse storico ambientale del paese, redatto dall'arch. Sara Rossi, e approvato con decreto della regione Puglia in data 9 maggio 1978, da cui si evince che bisogna considerare soltanto l'esterno delle abitazioni, perché, come dice la redattrice nella sua relazione al piano, verso la fine degli anni '60 “…è priva di interesse qualsiasi operazione tendente al recupero delle caratteristiche tipologiche all'interno degli alloggi. Infatti le trasformazioni avvenute nel tempo, particolarmente nel corso dell'ultimo secolo (miriadi di piccole trasformazioni sommate tra loro) rendono vano, in partenza, qualsiasi tentativo in tale direzione.” Fermo restando che prevenire è meglio che curare, per salvare il salvabile, andiamo ad interpretare uno stralcio delle Norme Generali-Titolo I-Art.11 del piano dove sono delineate le norme per il restauro del centro storico, citando in primo luogo la normativa sulla tinteggiatura delle abitazioni.
“Le finiture esterne degli edifici debbono rispettare con il massimo rigore possibile le caratteristiche ambientali delle aree storiche circostanti.
Per quanto riguarda le pareti esse saranno a mattoni, oppure ad intonaco rustico o ad intonaco tinteggiato.
I colori ammessi sono: il bruno spento per i mattoni (simile al colore dei mattoni delle vecchie costruzioni), il bianco, il grigio chiaro, il terra di Siena chiaro per gli intonaci.”
Viene da sé che le caratteristiche ambientali di tutto il Centro Storico, a cui bisogna sempre tendere particolarmente per il colore, sono (all'origine) i mattoni a vista, fatti a mano, ben deformati, e il bianco calce. Quindi per essere coerenti ad una verità di tradizione storica, di buon gusto e al significato della parola restauro, si dovrebbe eliminare l'intonaco liscio e tinteggiato di grigio, bruno spento, terra di Siena (colore dei paesi del nord-Italia) e soprattutto il giallo, non indicato tra l'altro dalla Sara Rossi, che da tempo sta deturpando alcune zone del paese e che denota una crescente involuzione culturale.
Si eviterebbe così l'arlecchinata, tanto cara alla moda dominante, e avremmo un canone umile e francescano. Il canone mediterraneo. Il vero Centro Storico che ci racconta la vita dei nostri antenati.
Esiste una normativa con cui il Comune concede un contributo in conto capitale per chi intendesse recuperare a faccia vista la muratura esterna del suo immobile. Parecchi cittadini ne hanno già usufruito. Purtroppo accanto a questi restauri sorgono altre ristrutturazioni colorate “in stridente contrasto con l'ambiente circostante”, di cui due sono state “denunciate” sulla copertina de La Portella dell'11 novembre 2001.
I danni perpetrati nel corso degli anni, in base alle normative su esposte, su cui si sono adagiati e continuano ad adagiarsi i vari organismi del potere, preposti a prendere coscienza degli errori e a correggerli, sono sotto gli occhi di tutti.
A tutto questo si aggiungono anche i cambiamenti apportati ad alcuni edifici che hanno stravolto le strutture originarie (Gli edifici scolastici della Scuola elementare; l'orologio su Palazzo Arranga; la ristrutturazione esterna della chiesa di S.Mercurio dove sono state ignorate, tra l'altro, le originarie piastrelle sulla cupola; le modifiche e le manomissioni all'interno della chiesa di S.Maria, già martoriata dalle precedenti ristrutturazioni, ecc.).
Una considerazione a parte merita la fontana di piazza Castello realizzata nel 1936 con uno zampillo centrale dall'impresa di Ernesto Gallo su progetto dell'ing. Ortona. Nata con una cattiva stella, sempre poverissima di acqua, anzi spesso all'asciutto, e per due volte sballottata da una sede all'altra. Ebbe una continuità di zampilli per un certo periodo, quando, per mettervi al suo posto la statua di S. Francesco, nel 1968 fu spostata al Pozzo Nuovo, con l'aggiunta del capriolo in bronzo, simbolo del paese. Nel 2000 fu riportata nella sua sede originaria, dove, per la rottura dell'impianto idraulico, funzionò solo per un breve periodo. Poi rimase a secco, sporca ed abbandonata. Nel frattempo l'amministrazione Caccavone approvava il progetto dell'arch. Antonio Galella per la ristrutturazione (non il restauro) della fontana in cui sono previsti cambiamenti radicali all'impianto idraulico, lasciando il capriolo per la simbologia che rappresenta.
Questo progetto con la nuova amministrazione non ancora viene realizzato. Forse perché non rispetta le regole del restauro e non si addice al contesto in cui l'opera si trova? Comunque sarebbe costosa per il bilancio comunale deficitario, sia la realizzazione che la manutenzione dell'opera finita. Il gioco insomma non varrebbe la candela. Entrerebbe invece in gioco il buon senso. L'assessore ai lavori pubblici Giuseppe D'onofrio, a nome dell'amministrazione, ha accolto la proposta dell'imprenditore serrano Franco Cialone di presentare un progetto del restauro della fontana del geometra Giuseppe D'Alonzo, in cui si rispetta l'evoluzione coerente dell'opera vasca-capriolo, senza ulteriori alterazioni con aggiunte visibili. I costi dei lavori, che prevedono solo la realizzazione dell'impianto idrico della fontana, sarebbero a totale carico di F.Cialone e di un gruppo di imprenditori e artigiani serrani. Detto progetto è stato presentato al sindaco il 7 novembre 2006. Per il momento tutto è in sospeso. Se la semplice vasca-fontana, che sarà restaurata (da notare) per la terza volta, avrà l'acqua, suo alimento vitale, e come l'avrà, si vedrà.
L'inventiva dell'urbanistica moderna può avere liberamente il suo sfogo oltre il centro storico. Diversamente, certe provocazioni, superfetazioni e seppellimenti denotano superbia o una voluta cancellazione della storia. Il restauro, così come deve essere inteso, è un atto di umiltà e di rispetto per l'altro.